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mercoledì 16 novembre 2016

C'era una volta.

Che poi, come tutti, vado avanti grazie alle storie che la mia testa mi racconta. Mi sono ritrovato qui - tra cartelle, infermiere e inservienti, ché i dottori ormai non vengono a vedermi neanche più - perchè si vede che la mia testa era andata un po' oltre a raccontarmene. Un po' parecchio.

Ma cosa credete, che non veda. Fate così tutti, e il confine tra Normale e Matto è solo una linea convenzionale tracciata da chi ha la testa che gli racconta la storia di aver studiato abbastanza, di poter giudicare cosa è patologico e cosa non lo è.

E no, a quanto pare non è più di tanto patologico, uscire da un supermercato con tre birre da 66 di cui una è già aperta e infilarsi nel grigio di una mattina di novembre. E la storia è bella, c'è anche un lieto fine in cui la risposta è scritta sul fondo dell'ultima bottiglia, e colma per sempre la fatica di vivere.

E che bella storia, diamante, ciliegia, corona. Una sola altra moneta, e ciliegia, bar, sette, che bella storia che prima o poi mi rifarò, e una moneta, e campana, diamante, bar, arriverà una dea bendata a risolvere i miei problemi. Ma - moneta, e corona, bar, campana - già non pensare, che bella storia.

Che succede se immergo gli indici ognuno in un bicchiere d'acqua, in uno fredda fredda e nell'altro caldissima? Che se li metterò poi nello stesso bicchiere a temperatura ambiente, a un dito sembrerà calda, e all'altro fredda, la stessa acqua. E così le storie.

Le storie che la testa ci racconta - il prezzo che paghiamo per sentire di più - servono ai normali per raccontarsi che le storie che si raccontano loro sono meglio, sono da sani, sono da savi. Sono a temperatura ambiente.

E tutti vivemmo, per sempre, felici e contenti.

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