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venerdì 29 aprile 2016

L'ammmore.

Dicono questi col camice che devo restare qui. Ma io, devo andare a lavorare. Se no - ben che vada - non mangio o - mal che vada - mi picchiano. E devo fare in fretta, altrimenti arriveranno altre a rubarmi il posto e poi, se in quella zona non sono organizzati bene, tocca ricominciare a litigare, a tirarsi per i capelli, a graffiare.

Il mio pezzo di strada non è male, in confronto ad altri. Ben asfaltato, così non rischio di farmi male a camminare con quei tacchi, e poco lontano da un distributore con barettino annesso. Comodo, se ti vien sete, se devi andare in bagno, se devi passare un velo di trucco sui lividi.

Voi avete scelto di non vedermi. Mi guardate - oh, se mi guardate! - ma non volete vedermi. La mia presenza nuoce al decoro, dicono. Dev'essere dura - in effetti - avere davanti agli occhi un'offerta che vi ricorda la vostra domanda. Così, nonostante il mio stacco di coscia invidiabile e un outfit decisamente caratterizzato, spesso mi pare di essere non solo quasi nuda, ma trasparente.

Conoscete altre persone che non esistono?
E allora, facciamo peggio - io e le sorelle - e estremizziamo la nostra camminata, i nostri atteggiamenti. Un po' è pubblicità - certo - ma molto è dover abbracciare in toto ciò che non possiamo cambiare, e scegliere quindi la spavalderia, la sfacciataggine. Cosa fareste, voi, se uno dei peggiori insulti fosse l'insinuare di essere vostri figli?

Siamo nate con un'unica ricchezza: la carne che abitiamo. Una volta, mi ricordo: accosta questo bel tipo, sulla quarantina. Mi avvicino e questo mi guarda imbarazzato dall'abitacolo, poi scorgo il bambino sul sedile posteriore. Avevano avuto un'avaria, per cui mi sono allontanata disinvolta. Sceso, ha preso in braccio il bambino e s'è incamminato verso il distributore.

Dalle spalle del babbo, una manina di quattro o cinque anni mi salutava.
"...papà, cosa fa qui tutta sola, quella signora?"
"...mh, non so. Pensi lavori, lascia stare."
"...e che lavoro fa?"
"La corpivendola."

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